Dal caldo di Neiva torniamo al fresco dei 2700 m piovosi di Bogotà e non volendo mettiamo radici per una settimana.
Per risparmiare sull’alloggio, non avendo trovato fin dal primo giorno un Couchsurfer disponibile, optiamo per un Air B&B che scopriamo poi ha uno spirito da CS, volendo condividere coi suoi ospiti ed offrendoci anche una birra di benvenuto. Dormiamo su un materasso gonfiabile nel suo freddo attico all’undicesimo piano da cui si vede tutta la città. Descrivendoci cosa poter visitare nel centro e nella parte storica, per la prima volta ci viene detta una frase strana ma in un qualche modo vera: “per voi che venite dal vecchio continente tutto questo non è nulla di speciale”.
Uno degli scopi della nostra permanenza a Bogotà è richiedere il visto per gli Stati Uniti d’America, ma ne ho già parlato in un altro post.
Dopo due notti cambiamo casa ed andiamo da un CouchSurfer che vive vicino all’aeroporto, talmente vicino che i vetri tremano ad ogni decollo ed atterraggio ed alcuni aerei si vedono ancora (o già) col carrello aperto dalle finestre di casa. Veniamo accolti in questa casa-ostello, dove sta soggiornando anche un Olandese da qualche giorno, e cuciniamo per i sette presenti una pasta al forno (alla quale non possiamo non aggiungere carne perchè altrimenti non è cibo).
Il week end veniamo invitati tutti quanti ad una gita da un amico di una delle coinqiline. Rispettando le tempistiche colombiane in cui si prende una decisione ogni mezz’ora e gli orari sono più flessibili che in Argentina, partiamo per la collina vicino a Bogotà, per un paese che si chiama Subachoque. La prima notte la passiamo facendo una festa tra di noi, in cui cercano di insegnarci a ballare, in una villetta che un amico del nostro ospite custodisce, con salotto col camino e posti letto sufficienti per tutti. Il secondo giorno cambiamo casa ed entriamo, stupiti ed affascinati in una villa dalle dimensioni incalcolabili, con pascolo di mucche e cavalli tutto attorno, saloni enormi, sale da gioco, due cucine (una per il salato ed una per il dolce), piscina al coperto, camere da letto a non finire ed un villino a parte solo per le grigliate. Sembra di esser parte di un classico horror movie americano in cui un gruppo di amici va a passare il week end, non si sa perchè, in una casa infestata o dove vive nascosto da tempo un assassino e quindi passiamo il giorno ad assicurarci di stare tutti insieme, non separarsi, guardarsi le spalle. Mentre Gaia descrive la trama di Shining, seduti comodamente al banco bar della sala principale, una delle sedie si rompe facendo cadere una ragazza, con un tempismo perfetto nel racconto. Lentamente scopriamo dettagli dell’abitazione che ora appartiene ad un ricco proprietario di navi da crociere, marito della sorella del ragazzo che ci ha invitato. In origine però la casa era stata costruita da un narcotrafficante negli anni 60 e ne conserva infatti il lusso smisurato e senza motivo delle fontane nascoste dietro ai divani, degli enormi vasi cinesi e dei camini in ogni stanza. La casa ormai però non è più utilizzata se non rare volte dai proprietari, probabilmente solo per ricordarsi di quanto siano ancora ricchi e così gli armadi sono vuoti, così come la cabina armadio fatta di specchi e di un abbondante 50mq dell’abitazione principale.
Veniamo introdotti al gioco del Tejo, una via di mezzo tra le bocce e le freccette. lo scopo del gioco è lanciare un disco di metallo su un bersaglio pieno di fango argilloso ad una decina di metri di distanza. Nel bersagli è posizionato un cerchio di metallo e su questo cerchio due micce che se colpite esplodono rumorosissimamente. Chi si avvicina di più al cerchio vince la mano (un punto), a meno che non si riesca a centrare il centro del cerchio, che vale 6 punti, o una delle micce, che vale 3 punti. Lo scopo è arrivare a 21 punti e finire la cassa di birre (da 30) che si compra ad inizio partita, condizione senza la quale non si può smettere di giocare.
Tornati a Bogotà, mentre sbrighiamo commissioni per pianificare i prossimi giorni di viaggio trascino Gaia da un dentista il cui studio si affaccia sulla strada, a tradimento. Preferiamo però poi chiedere un consulto al dentista consigliatoci dal nostro ospite e già conosciuto e così alla vigilia del suo compleanno Gaia si ritrova sotto antibiotici da 3 giorni e sulla poltrona del dentista a togliere due denti, tutto per colpa mia. La mano del dentista però è buona e già il giorno dopo possiamo ripartire (finalmente) da Bogotà per la costa [la Colombia ha due coste, quella Atlantica e quella Pacifica, ma con “costa” si intende solamente quella Nord, caraibica] su u bus che impiega 24 ore a percorrere i 1000km fino a Cartagena, con una temperatura interna di circa 16 gradi per tutto il tragitto.
Le foto del week end fuori porta: