Golfo del Messico, dove il deserto non è poi così desertico

Lasciamo Merida con l’obiettivo di percorrere tutta la costa orientale del Messico, fino agli Stati Uniti.

Decidiamo che non vale la pena addentrarci a Città del Messico per rimanere pochi giorni vista l’estensione e nemmeno per visitare il complesso Maya del Sole e della Luna, in quanto troppo turistico. Rimaniamo quindi sulla strada costiera, salendo verso Nord, facendo tappa a Villahermosa, Veracruz e in un posto sperduto nel nulla, completando in 4 giorni i 2000 km che ci separano dagli stati uniti. Lo stato delle strade messicane è migliore di quelle Nicaraguensi o Onduregne, ma comunque non permette un’andatura superiore ai 60km orari, tra paesini da attraversare coi loro dossi e buchi per la strada da evitare.

IMG 20150926 145524Arrivando a Villahermosa attraversiamo una zona di paradiso, ad un passo dal mare, quel mare caraibico da cartolina, scorre la strada, sporca come sempre, ma affascinante per il paesaggio che ci presenta.

PANO 20150926 141035

 

Villahermosa ci viene descritta dal nostro CouchSurfer di Merida, che ci ha vissuto per cinque anni, come la città delle due bugie, perché non è villa (città) e non è hemorsa (bella). Troviamo una città con stradoni enormi a misura di auto e siamo subito portati fuori città dal nostro nuovo ospite e quindi non approfondiamo l’esplorazione. Passiamo una tranquilla giornata in un quartiere residenziale in mezzo al nulla, con bambini di tutte le età che schiamazzano ed adulti che essendo domenica hanno trasferito le loro sale da pranzo all’aperto e li si ascoltano a tutto volume la loro musica, senza che nessuno gli dica nulla. Sul tardi smontiamo una ruota di Chevroletto per capire da dove provengano dei rumori e senza volerlo (troppo) sistemiamo un altro problema, questa volta dell’impianto frenante.IMG 20150926 154513

IMG 20150929 073713La strada tra Villahermosa e Veracruz scorre senza nessun problema, se non la noia e qualche dosso. Arriviamo nel primo pomeriggio ed il CouchSurfer che ci dovrebbe ospitare non si presenta all’appuntamento, anzi, ci da un appuntamento davanti ad una casa disabitata. Interroghiamo i vicini per capire se siamo al posto giusto e ci dicono che la casa è poco utilizzata ma che il proprietario vive con la madre e li viene solo quando ha amici da ospitare. Optiamo per una sistemazione più vissuta andando a casa di un altro CouchSurfer che ci aveva dato disponibilità. Ci accolgono due aspiranti veterinari e due cani di quelli senza pelo, caldissimi al tatto, di lineamento egizio ma che avevamo già trovato anche in Perù.

IMG 20150929 073929I nostri ospiti hanno in salotto una collezione di organi di animali in formalina, che ci mostrano orgogliosi, mentre in cucina nel tentativo di catturare un topolino, che pare poi essersi defilato autonomamente, hanno catturato sulla carta moschicida una blatta enorme. Tra cani e blatte che girano per casa, con la scusa di aver già il letto pronto sul van, optiamo per dormire dentro Chevroletto, parcheggiati davanti alla porta di casa. Lo stupore maggiore però arriva al mattino quando entrando in casa vediamo in salotto una sala operatoria allestita alla buona, dei ferri da chirurgo buttati dentro l’alcol, un lettino sporco di sangue e dei piedistalli per reggere le luci o delle telecamere. Ci raccontano che nel mezzo della notte hanno dovuto operare d’urgenza un cane che avevano già operato nei giorni scorsi e che avevano sotto osservazione.

IMG 20151001 101634Proseguiamo poi per altri due giorni di viaggio guidando dal mattino al tramonto, la vegetazione cambia ma trovandoci sulla costa il paesaggio non diventa desertico come lo è all’interno del paese e sulla costa ovest. Circa all’ora di pranzo del secondo giorno, nell’orario migliore per passare una dogana, entriamo negli Stati Uniti per la frontiera di Matamoros/Brownsville, interrogandoci un po’ anche su significato dei nomi dei due paesi, come se dal lato americano vivessero tanti neri (Brownsville) e dall’altro lato del confine li uccidessero (mata = uccidi, moros = neri). 

 

Terminiamo così un secondo pezzo del nostro viaggio, il centro america, tra fretta, noia, stupore, cose nuove imparate e cibi sempre uguali mangiati (anche se chiamati in modi diversi). Entriamo negli Stati Uniti con un rottame di auto che ormai è la nostra casa.

Leave a comment

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.