Quando si viaggia e si cambiano tanti posti significa che si cambiano anche tanti bagni, intesi come toilette, orinatoi, pubblici e privati e naturali.
L’argomento è delicato, si sconsiglia la lettura ai deboli di cuore, agli impressionabili, a chi sta mangiando e a chi tratta gli escrementi come un tabù.
Le tipologie di bagni che abbiamo incontrato finora durante questo viaggio sono molteplici, vanno dal bagno secco, ovvero un secchio in cui dopo aver fatto i propri bisogni si copre il tutto con segatura, per poi usare l’intero contenuto come fertilizzante per il proprio orto, alle raffinate ceramiche decorate in oro della casa di un narcotrafficante. Partendo dal sud del continente possiamo elencare dei sanitari simili a quelli europei, per poi passare a quelli con il doppio scarico dell’acqua, uno dall’alto come da noi ed uno che spara direttamente alla base del sifone per facilitare l’espulsione dell’intero contenuto. Le forme sono quasi sempre ovali, anche se a volte si stringono a cerchio e rimpiccioliscono, probabilmente conil rimpicciolirsi della statura della popolazione dalle parti di Bolivia e Perù. Ad un certo punto del Perù poi scompaiono le assi del gabinetto, costringendoti ad equilibrismi sulla ceramica o alla ben più pratica e sacrificale mano appoggiata su cui sedersi, se l’interazione con l’amico di ceramica è lunga o complicata dallo strano cibo mangiato poc’anzi.
La cosa che però accomuna tutti i paesi finora attraversati è l’insufficienza della rete fognaria, che comporta la presenza di un cestino in ogni bagno per depositare la carta usata, che se introdotta nello scarico bloccherebbe tutto irrimediabilmente. Questo fatto fa riflettere più volte sull’uso della carta igienica, risorsa scarsa che bisogna imparare a maneggiare e risparmiare. Quando si va nei bagni pubblici, quelli a pagamento nelle stazioni o nei mercati, a fronte dei nostri soldi viene consegnato un rotolino di carta igienica, che le signore pazientemente staccano con gesti rituali tramandati di generazione in generazione, da un rotolo normalmente grande di carta. La sottoparte così ottenuta è poi minuziosamente piegata e conservata in un cassetto, fino all’arrivo del cliente con l’impellente bisogno. La finiteza di questa risorsa (spesso 4 o 5 strappi, non uno di più) costringe a pieghe successive e strappi piccoli il necessario e non di più nel suo utilizzo, per timore che termini anzitempo. Vi immaginate di dover tornare dalla signora all’ingresso, con i pantaloni mal allacciati, le mutande ormai sporche, camminando in modo strano per il timore di sporcare irrimediabilmente l’intimo indossato, la faccia supplicante a chiedere in una lingua straniera un prestito di carta? E poi nessun locale ha mai dovuto fare una cosa del genere, figuriamoci se noi, provenienti da un mondo in cui la carta è sempre abbondante nei bagni possiamo fare questa figuraccia.
Studiando però dal cestino la perizia d’uso dei locali della suddetta risorsa limitata si scoprono sempre dei pallottolini più piccoli e dei pezzetti più accartocciati di quelli che si depositano, dimostrando che abbiamo ancora tanto da imparare su come pulirci il culo noi europei.
L’uso del cestino diventa poi un’abitudine e non ci si fa più caso se è aperto, col coperchio, tondo e con il pedale, con il basculante sopra che non si sa mai se spingere con la carta sporca o con la mano o pieno fino all’orlo che bisogna appoggiare il proprio pezzetto di carta sperando che non provochi una valanga di cacca e carta altrui sul pavimento. Ma il cestino dà un’opportunità in più, spesso sottovalutata, che è il poter controllare le condizioni, la composizione, le dimensioni e la frammentazione della nostra produzione quotidiana. Si, lo so, molti di voi staranno storcendo il naso, siete gli stessi che rientrano nelle categorie elencate all’inizio a cui era consigliato di non proseguire nella lettura. Durante un viaggio invece è importantissimo monitorare il proprio stato di salute e cosa c’è di meglio che guardare cosa non piace al nostro organismo del cibo che mangiamo? possiamo così vedere cosa non abbiamo digerito, cosa ci sta facendo male e correggere la dieta in base a dove si sta viaggiando, al tipo di esercizio fisico che si sta facendo e agli usi alimentari che si stanno prendendo.
Rimanendo nell’ambiente del bagno, ma parlando di una cosa più piacevole e meno delicata si può passare a parlare del… bidet, direte voi? no, tranquilli quello non esiste..
..della doccia.
La tipologia di doccia varia principalmente da paese a paese, sia per conformazione che per temperatura e quindi la trattazione sarà più agevole. In Argentina è situata tendenzialmente inuna vasca da bagno, con il soffione sulla parete corta che spruzza per la lunghezza della vasca, il telo di separazione è doppio, uno colorato sull’eterno ed uno tendenzialmente bianco all’interno. In Cile lo stile è abbastanza simile a quello argentino, permangono i due teli di separazione ma la temperatura della doccia calda è “giusto tiepida”, cosa che non aiuta soprattutto in quei posti dove la temperatura ambiente esterna non supera i 10 gradi. Il riscaldamento dell’acqua avviene con scaldabagno a gas e l’unica opzione è trovare il flusso minimo di acqua che attivi il riscaldamento ma sufficientemente basso da rimanere un po’ di tempo all’inerno delle serpentine in modo da scaldarsi il più possibile. La Bolivia risolve questo problema non avendo nessun tipo di impianto centralizzato di gas. Qui la doccia è elettrica, si per quanto ci abbiano sempre insegnato che non èe buono mescolare corrente ed acqua in Bolivia hanno un bell’interruttore dei 220V a pochi cm dalla doccia, la cui testa elettrificata scalda l’acqua che poi cade a pioggia, con pochissima pressione verso il basso. La temperatura raggiunta è maggiore e ben più gradevole che quella cilena, ma la quantità d’acqua è tendensialmente più scarsa. L’Ecuador invece ha un aspetto misto sotto questo argomento, probabilmente il fatto di essere al centro del mondo gli permette di prendere usi e costumi da entrambi gli emisferi e si trovano qui doccie sia del tipo cileno, che boliviano, che colombiano. In Colombia l’acqua è calda, con scaldabagno a gas dove fa freddo e fredda, senza nessun tentaivo di scaldarla dove fa caldo (e visto che fa caldo risulta anche piacevole). Il particolare della Colombia però è che spesso e volentieri manca il soffione (anche se il sistema è predisposto a montarlo) e quindi l’acqua cade direttamente in un flusso unico e grande e forte da un tubo che esce dal muro.
(Foto di copertina presa da Flickr)